S. Fruttuoso è un luogo magico, di una bellezza che rimbalza tra il cuore e la testa. Merita la levataccia del primo traghetto per raggiungerlo e vederlo deserto o una camminata a piedi, di buon’ora, sul promontorio di Portofino.
Arrivare è come un’ebbrezza di blu e di verde: tutto mare, macchia mediterranea e alberi. Incastonati in questa gola, l’abbazia e il vecchio borgo dei pescatori. La storia e le architetture di questo luogo, tanto defliato, sono stratificate e mescalte ad alcuni grandi fatti del vecchio continente europeo. Sono almeno un paio gli eventi “maggiori” entro i quali si srotola la storia silenziosa, quella del quotidiano della gente che ha avuto di sicuro dura la vita, qui, tra il mare e la montagna. Uno, come per tutti i luoghi affascinanti, ha a che fare con il suo mito fondativo. Pare che S. Fruttuso nasca e debba il suo nome al santo omonimo di Tarragona, santo del III secolo: le sue cenerei si dice siano state traslate in questa meravigliosa insenatura nell’VIII secolo, a causa dell’avanzata araba nella pensiola iberica. A compiere l’impresa fu Prospero, allora vescovo di Tarragona, dopo avere ricevuto in sogno le indicazioni dal santo.
Nel Decimo secolo, e per un paio di secoli in seguito, vi si insediò una comunità di frati benedettini che edificarono il grosso dell’attuale abbazia, compresa la grande e suggestiva cupola su tiburio ottagonale, e diedero all’iniseme un certo sapore bizantineggiante. È dal 1200 in poi che la famiglia dei Doria prende il possesso del luogo e lo manterrà fino al 1983, data in cui opterà per la donazione al FAI. Saranno i Doria a costruire il loggiato e il doppio ordine di trifore sulla facciata che tanto caratterizzano S. Fruttuoso, vedendolo dal mare; per inciso la spiaggetta alla base di questa facciata è recente, pare essere il frutto dei detriti portati a valle e accumulatisi dopo un’alluvione nel 1915. Le trifore a un certo punto saranno muarate (e riscoperte nel 1933) in un genarle rimaneggiamento della struttura religiosa così da ricavare delle case aggiuntive per gli abitanti del borgo. E in questa fase della storia del complesso religioso, si svolge il secondo grande fatto storico che lega indirettamente S. Frutuoso con il Risorgimento italiano e, addirittura, con la guerra di Crimea. Lo si scopre da alcuni dettagli, durante la visita: nella cripta dedicata alla sepoltura dei Doria, compaiono anche le tombe di due donne che non fanno parte della nobile famiglia ligure. Sono Maria e Caterina Avegno.
Se vedere S. Fruttuso è stata un’emozione, lo è stato ancora di più scoprendone il legame con la storia delle due sorelle Avegno.
Corre l’anno 1855. È il 24 aprile e dal porto di Genova Cavour e Rattazzi salutano la partenza del piroscafo inglese Croesus e del veliero Pedestrian al suo traino. A bordo molti soldati dell’esercito piemontese, medici, infermieri, attrezzature per un ospedale da campo, farmaci, munizioni, esplosivi e tutto quello che può servire per dare manforte agli alleati impegnati nella guerra di Crimea contro l’avanzata russa verso il Mediterraneo. Le condizioni atmosferiche sono proibiteve a causa del forte vento e una manovra errata fa sì che il Croesus speroni il Pedestrian all’altezza di Camogli. Molto è il carbon fossile stipato del Croesus e i gas esalati innescano un tremendo incendio. L’imbarcazione arriva a fatica nella baia di S. Fruttuso, mentre il Pedestrian riesce a tornare sul suo cammino verso Genova. Il Croesus va a incastrarsi contro lo sperone roccioso che separa le due spiaggette della baia; l’incendio prosegue e i soldati, molti dei quali non in grado di nuotare, si buttano a mare. Sono attimi tremendi. Nel piccolo borgo, probabilmente svuotato da quasi tutti gli uomini, chi imbarcato e chi impegnato in attività legate al commercio della legna, ci sono di certo le donne presenti. Sulla spiaggetta solo due gozzi. In quel momento le sorelle Avegno perendono le due barche e iniziano a remare. Fanno la spola, avanti e indietro dalla nave alla spiaggia e viceversa. Mettono in salvo molti esseri umani. Cercando informazioni non ho trovato le immagini di un gozzo ligure, non so come è fatto, ma una cosa ho capito: che serve forza, fatica di braccia e tanto coraggio per condurlo in mare, e le due sorelle, Maria e Caterina, non si tirnao certo in disparte. Usano tutte le enrgie che due donne possono avere, e forse anche di più. Maria ha di certo in mente il salvataggio dal naufragio del figlio Paolo Oneto, in mari sardi, qualche mese prima. È sicuro che la riconoscenza della madre aggiunge forza alla forza che queste donne di mare già hanno. Le testimonianze che si rintracciano non sono più chiare a questo punto. Si sa solo che purtroppo le due donne rimangono vittime della propria genrosità. Finiscono in mare, trascinate probabilmente dalla disperiazione di chi si aggrappa disordinatamente alle barche per salvarsi. Maria Avegno, madre di ben otto figli, muore subito. Caternia morirà dopo qualche giorno. Ecco, la storia di due donne fuori dal comune, di cui pochi sanno.
Maria ha avuto immediatamente sepoltura nella cripta dei Doria, dentro all’abbazia, per volontà dei membri della famiglia. Dopo qualche giorno anche la sorella Caterina viene tumulata nello stesso luogo. Alla memoria di Maria sono state riconosciute svariate onorificenze: prima donna in Italia a ricevere la medaglia d’oro al valor civile, dall’Inghilterra le fu assegnata la Victoria Cross e un somma di danaro fu data alla famiglia, Cavour le riconobbe la Medaglia d’Oro alla Memoria, il Corriere Mercantile organizzò una sottoscrizione per la famiglia Avegno. A Camogli esiste un belvedere panormaico, chiamato “La rotonda”, intitolato a queste due donne straordinarie.