DIPINGERE LAMPEDUSA

Lampedusa è straordinaria, per motivi che, a volte, si scontrano, opposti e forti uguali, e sembrerebbero annullarsi come due cifre identiche e di segno opposto in un’equazione,

ma non succede e gli opposti restano e raccontano proprio di come Lampedusa sia, appaia e si sveli un luogo inatteso e stupefacente. Così, quando mi è stato chiesto dalle volontarie ormai “storiche” della Biblioteca Ibby per ragazzi, di fare un corso di acquerello, come avrei potuto dire di no?

Per inciso, le volontarie in questione sono Anna Sardone e Paola La Rosa, e ovviamente Deborah Soria anima del progetto, e definirle “storiche” all’interno di un progetto neonato fa parte della questione di meravigliosi opposti dell’isola, che non si annullano affatto, ma, a ben guardare, svelano delle storie, qui appunto quella della nascita di questo luogo tanto necessario e frequentato dai bambini di Lampedusa. Per entrare nell’atmosfera della biblioteca, basterà seguirne il diario di un ospite d’eccezione del progetto, Fabio Stassi, qui.

E così, lasciata andare l’alta stagione, ho iniziato a preparare armi e bagagli. L’acquisto dei materiali materiali (carta e acquerelli) è stato sostenuto da Ibby Italia che cura le attività della biblioteca sezione italiana dell’associazione internazionale che si occupa della diffusione di libri per ragazzi là dove i libri faticano ad arrivare, e i pennelli sono stati donati alla Biblioteca da Borciani e BonazziBorciani e Bonazzi , storica azienda italiana che ha rinnovato produzione e immagine e che, con grande entusiasmo, sostiene operazioni particolari di diffusione delle belle arti.

Alle richieste che nel tempo, di tanto in tanto, mi si facevano avanti “Faresti un corso di disegno? Mi insegneresti a dipingere?” ho sempre risposto senza troppi giri di parole: no! E devo dire che, poi, mi succedeva di notare un certo disappunto da parte dell’interlocutore di turno. La mia risposta ha sempre voluto essere un gesto di onestà, sapendo bene che disegnare (e dipingere) non è cosa semplice, richiede applicazione e tecnica, molto molto tempo da dedicare, diciamo pure, studio, anche per i più dotati; e insegnare, poi, è cosa difficilissima: non ero (ancora penso se lo sono) sicura di esserne all’altezza.

Da alcuni mesi a questa parte, invece, ho cominciato a rispondere . E questo perché negli ultimi anni, abbandonata la solipsistica confort zone della scrivania, sto sperimentando in prima persona la grande emozione del disegnare e dipingere all’aperto, del catturare atmosfere standoci dentro, del concedersi un tempo lungo di ricerca di un luogo speciale, di osservazione, di riflessione e di applicazione nel fare immagini in condizioni spesso scomode, con imprevisti, del mettermi alla prova ogni volta che qualcuno si ferma per vedere quello che faccio (i bambini sempre, gli adulti spesso). Tutto questo, alla fine, mi fa stare bene e penso, se ha questo effetto su di me, lo avrà sicuramente anche su altre persone: c’è bisogno di rallentare il passo fino a fermarsi, di concedersi dei modi diversi, delle parentesi di approfondimento, dei momenti che lasciano tracce durature. Chi disegna la facciata di una chiesa, la chioma di un certo albero, un porto, la scultura di una piazza, un volto, lo scorcio di un vicolo… non dimenticherà mai più quell’immagine e si sentirà parte di quel luogo, rimarranno delle tracce che contribuiranno a descrivere un’identità. Fotografare, ormai, per come questo gesto è massificato, non ha la stessa forza emotiva e formativa (e chi scrive è anche una “scattatrice” da smartphone compulsiva). I conti infatti non tornano: la memoria di una scheda non ha, fortunatamente, la quarta dimensione della memoria della testa e del cuore di un essere umano che si accomoda su un pontile e dipinge il mare. Per questo ho iniziato a dire a quelle richieste. È inutile aggiungere che, poi, la quarta dimensione fatta da tante teste a tanti cuori assieme, che disegnano e dipingono, ritagliandosi alcune ore d’inconsueta vicinanza, diventa una dimensione enorme che amplifica tutto e mette in risonanza gli sforzi e il piacere per quello che si sta facendo.

I nostri quattro giorni sono ovviamente volati, come ogni singolo pomeriggio. Avremmo avuto voglia di più luce, che il giorno durasse di più, ma tant’è e il gruppo ha funzionato: nel corso degli appuntamenti è cresciuto, coinvolgendo anche chi non si occupa direttamente della biblioteca, ma della biblioteca segue e apprezza le proposte.

Il primo giorno a Lampedusa è stato il giorno della pioggia, ma ora là c’è una biblioteca confortevole e attrezzata che si fa spazio di aggregazione strutturato, ricco di proposte e che quindi ci ha accolto. È stato il giorno della teoria e dei primi esercizi pratici: campiture, sfumature, velature, scoperta della luce, shock da difficoltà dell’acquerello (guai a chi compra una scatola di acquerelli e non si fa cambiare il bianco! Il bianco è la carta, la luce è la carta!) e un primo esercizio di still life grazie a una preziosa manciata di fossili e conchiglie che Fabio, compagno di Anna e grande conoscitore dell’isola, ci ha prestato.

Il secondo giorno è stato il giorno del porto. Un soggetto geometrico, una barca, dalla forma rigorosa e la rappresentazione dell’acqua.

Il terzo giorno è stato il giorno della natura, del paesaggio: la veduta della scogliera fino al faro, da Cala Pisana.

Il quarto giorno è stato il giorno dell’architettura: il Santuario della Madonna di Porto Salvo.

Non importa se si è neofiti, se tutto è difficile. Il primo scoglio è il disegno e il secondo è l’acquerello, due linguaggi complessi; in pittura, in effetti, è forse proprio quella dell’acquerello la tecnica più complicata. Dicevo, non importa se tutto è complesso, nel momento in cui scatta la magia e si entra nella quarta dimensione, del piacere di essere in quel posto, del piacere di possedere per sempre quell’immagine e, in un certo senso, di appartenere per sempre a quel luogo, il gioco è fatto. A Lampedusa, come ovunque, si capisce bene disegnando come non si è di nessun posto e di tutti i luoghi assieme, basta esserci con consapevolezza, piacere e rispetto. E concedersi un tempo nuovo e diverso, quello del guardarsi attorno e capire.

Adesso lascio ai partecipanti il compito di esercitarsi con un appuntamento, se possibile, la prossima primavera.

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